martedì 15 aprile 2008

Capitolo VI

Il ronzio diventava sempre più rumoroso. Ancho aveva portato la candela a Hedgar, il ladro, e Sha glie la strappo di mano insieme alla collana. Il guardiano approfittò della distrazione dei prigionieri per allontanarsi dal loro campo visivo. Il necyomanteens prese quattro ossa dal suo talismano e le dispose in una figura romboidale posandole sul terreno, poi mise nel centro la candela e pronunciò delle parole magiche in una lingua oscura. Neanche Sojo conosceva quel tetro linguaggio. Fuori dalla cella si formò una nebbiolina violacea che nascondeva mostruosità appartenenti al mondo degli incubi. La nebbia svanì velocemente e l’orrore celato comparve agli occhi dei compagni di cella: uno scheletro dagli occhi di fuoco. Una inquietante fiamma purpurea bruciava senza consumare le ossa delle mani del non-morto. L'abominio alzò il capo lentamente.
-Mi hai chiamato dal sonno eterno, i tuoi ordini sono il mio dovere.- Bisbiglio una voce proveniente dallo scheletro, ma non dalle corde vocali già consumate da secoli.
-Portami le chiavi della gabbia. Uccidi chiunque tenti di impedirtelo!- rispose Sha, senza scomporsi.
Il mostro scattò con una velocità impressionante, non erano più i tendini e i muscoli a consentirgli di spostarsi, ma l’energia demoniaca che Sha aveva usato per richiamarlo da l'oscura dimensione in cui proveniva. Dopo alcuni istanti si sentirono delle urla provenire dalla stiva.

Ulfgar lanciò uno sguardo alle dune da dove si sentiva il ronzio, anche lui notò i puntini che serpeggiavano sulla sabbia. Tuttavia gli elfi, dotati di una vista superiore alla luce del sole e della luna, questa volta videro con precisione cosa generava quel polverone: tre uomini vestiti con lucenti armature rosse stavano cavalcando delle slitte a vento che si muovevano molto più velocemente della nave.
-Se riuscissimo a prendere uno di quei mezzi potremmo scappare da qui.- disse Sojo al ladro.
-Già, ma come potremmo riuscirci chiusi qua dentro?...- rispose l'altro rammaricato.

giovedì 10 aprile 2008

Capitolo V

Era una mattina movimentata per tutto l’equipaggio del pilt, il percorso della giornata prevedeva il passaggio nel punto più stretto tra l’antico tempio in rovina e il grande vulcano Ignus, entrambi posti pericolosi e da evitare nella rotta.
Ancho tuttavia non era così agitato. Il suo compito era quello di drogare i prigionieri, affinché non patissero eccessivamente il viaggio e non si lamentassero. La sua giornata tipica consisteva nello stare seduto su uno sgabello accanto alla gabbia bevendo Guj (un liquore ricavato dalle piante del deserto) e, nei pochi momenti di sobrietà, entrare nella prigione per eseguire il suo compito. Ci pensavano quelle grosse sbarre d’adamantio a fare la guardia ai prigionieri, non aveva ragione di temere evasioni.
Ma quel giorno si svegliò improvvisamente dal suo mondo di sogni etilici a causa di alcune voci che provenivano da dietro le sue spalle.
-Corbezzoli! Si sono svegliati i prigionieri!- Disse con la voce di uno un po’ alticcio. Rise, come se la cosa dovesse essere divertente. -Sarò picchiato da Ughalem!- esclamò mentre continuava a ridere a crepapelle.

Sojo aveva appena smesso di fare domande a Sha quando sentì le risate isteriche. Anche il nano e l’altro elfo avevano notato, solo ora, quel tipo seduto con una damigiana in mano. Era un uomo che indossava una tunica ed un turbante. Chiesero a Sha chi fosse, e il necyomanteens rispose, con la solita freddezza, che era un ubriacone incaricato di far ingoiare loro un liquido con effetto allucinogeno prima che si svegliassero.
Poco dopo dei passi pesanti si avvicinavano alla gabbia, un umano rivestito da un’armatura completa e adornata di spuntoni li aveva sentiti parlare.
-Anchooo!- gridò –Hai lasciato che si svegliassero gli schiavi!- corse verso il guardiano e gli tirò uno schiaffo tanto forte da fargli cadere il copricapo. -Non avrai più la tua razione di Guj!- disse strappandogli di mano la grossa bottiglia e gettandola giù dal pilt.
-E voi non tentate di scappare o ve la vedrete con la mia “schiacciatrice”!- disse ai prigionieri minacciandoli facendo roteare una mazza in alabastro.

Passarono le ore, e i compagni di cella cominciarono a discutere un modo per evadere da lì. Sha disse che lui poteva creare un diversivo, gli serviva solo della cera. Gli altri cercarono disperatamente nella cella sperando di trovarne anche sola una goccia, ma non ve ne era traccia.
Allora il ladro di Sirnimion, che rispondeva al nome di Hedgar Manolesta, ma ancora non si era presentato, vide una candela sull’albero maestro della nave. -Purtroppo non è alla mia portata- disse l’elfo, posando gli occhi sulla collana di Sha.
-Questa mi sarà utile…- disse strappandogliela di dosso prima che l’uomo se ne accorgesse.
Sha infuriato lo colpì, e nel toccarlo si sprigionò un’insolita luce violacea. –Ridammela! E’ un oggetto sacro!- sbraitò. L’attacco del compagno di cella aveva corroso le carni del braccio dell’elfo, Sojo riconobbe immediatamente l’emanazione di una potente energia negativa.
-Te la ridarò- rispose, trattenendo una smorfia di dolore, –lascia solo che io la usi per prendere quella candela.- Il necyomanteens era adirato, ma acconsentì. Tuttavia la candela era troppo lontana, fu così che Sojo decise un approccio più drastico: allungò il braccio attraverso le sbarre e afferrò Ancho per il collo. Questo che stava ancora piangendo per il trattamento subito dal suo capo non oppose troppa resistenza.
-Portami subito quella candela!- gli disse il chierico con decisione. Ma Ancho ancora sotto l’effetto dell’alcool rispose: -Da quando gli schiavi danno ordini?!-
-Da quando rischiano di perdere il collo!- Rispose l’altro elfo ponendo la collana di Sha come una garrotta.
-Sì, lo farò subito- mentì Ancho, con l’intenzione di allontanarsi dalla gabbia e prendere le dovute precauzioni. –Fallo o morirai!- aggiunse Ulfgar, che aveva intuito l’intenzione del guardiano di scappare anziché aiutarli.
-Ma… Ughalem mi ucciderà!- rispose l’ubriacone tremando.
–Chi è più vicino a te, ora? Ti ucciderò io con le mie mani se non ti sbrighi!- disse Sha fissandolo con il suo sguardo minaccioso.
Ancho, temendo che il necyomanteens potesse tirargli qualche sortilegio, decise di obbedire e corse a prendere la candela.
Nel frattempo i due elfi percepirono uno strano ronzio nelle orecchie che proveniva da nord-est, si voltarono, e scorsero tre puntini che serpeggiavano nella sabbia alzando un gran polverone.

lunedì 7 aprile 2008

Capitolo IV

Il mezzodì era passato e i prigionieri cominciavano a divenire irrequieti. Il nano cercava invano di forzare l’adamantio delle sbarre. Sojo, desideroso di comprendere meglio la situazione, domandò a Sha se sapeva quale fosse la loro meta e lo scopo di quel viaggio.
Era difficile intuire dove stessero guardando quegli occhi privi di pupille, ma, in quel momento, l’elfo si sentì penetrato dallo sguardo del compagno di cella che si posava su di lui.
-Probabilmente la nostra destinazione è Rag o-Wehlay, la città bianca, dove si trova la grande arena in cui, ogni giorno, decine di gladiatori perdono la vita…- fece una breve pausa. Emise un verso simile ad un ringhio e continuò –…siamo stati catturati da un gruppo di schiavisti, se non l’avete ancora capito, saremo venduti come gladiatori!-
I tre sussultarono, dovevano assolutamente scappare da quella gabbia. –Ora dicci qualcosa sul tuo conto.- Chiese Sojo, con un tono quasi di pretesa.
Senza farsi pregare Sha rispose alla richiesta del chierico: - Sono stato condannato a morte, ma persino il boia mi temeva, e così quando passò il pilt nei pressi del villaggio fui venduto per 3 litri a questi commercianti di schiavi.-
-Eri un assassino?!- dedusse l’elfo, sempre prevenuto nei confronti degli estranei, come la maggior parte dei membri della sua razza.
-Sono un Necyomanteens- concluse Sha.

Capitolo III

Ulfgar sentiva un forte senso di nausea. Aveva sete e sentiva un indescrivibile calore sulla pelle. Aprì gli occhi e rimase abbagliato dalla luce intensa. Una voce tetra, diversa da quella che aveva sentito a Brifkanar fuori dalla locanda, gli offrì dell’acqua. Il nano accettò volentieri e lo sconosciuto gli versò il liquido sulle labbra.
-Sono felice che tu ti sia svegliato: almeno avrò un po’ di compagnia. Il mio nome è Sha T’Alim.-
Disse cordialmente, ma senza mutare il tono.
–Io sono Ulfgar- disse il nano, tendendogli la mano mentre metteva a fuoco la figura, –piacere di fare la tua conoscenza!-
Un uomo dalla pelle color del bronzo, gli occhi opalescenti privi di iridi e pupille ed un cappuccio bianco sulla testa lo osservava impassibile. Non allungò il braccio per stringergli la mano. –Dove siamo?- Chiese il nano, cercando di osservare l’ambiente circostante troppo luminoso per i suoi occhi abituati all’oscurità delle caverne.
-Guardati intorno.- Fu la risposta.
Mentre i suoi occhi si abituavano, Ulfgar notò che il suo nuovo conoscente indossava degli orecchini in alabastro raffiguranti delle teste di sciacallo ed una collana di falangi umane. Poi la sua attenzione si spostò sull’ambiente che lo circondava: era in una gabbia di adamantio e accanto a lui erano distesi due elfi, probabilmente privi di sensi.
Allora il prigioniero guardò fuori della gabbia. Lo stupore si dipinse sul suo volto quando scoprì di trovarsi su una nave che, anziché galleggiare sull’acqua, solcava le dune del deserto trasportata dal vento.

Sojo aprì gli occhi ed una luce intensa lo costrinse a socchiuderli. Aveva lo stomaco in subbuglio e il sudore gli imperlava la fronte. Sentiva delle voci dagli accenti diversi da quelli elfici. Provò ad aprire nuovamente gli occhi e si trovò di fronte il viso di Sha. –Eccone un altro che si riprende. Vuoi dell’acqua?- chiese con garbo, ma sempre con il suo timbro di voce profondo e lugubre.
Il chierico scansò con violenza la gamella rovesciandone il contenuto. -Non da te!- esclamò con il viso segnato da un profondo disprezzo.
Mentre si riprendeva notò con sorpresa la presenza del nano e l’ambiente che li circondava. Il tipo che aveva cercato di rubare nel tempio era accanto a lui. Sembrava stare molto male. Continuando a guardare con disgusto i compagni di viaggio cercò di aiutarlo con le sue doti di guaritore.
Erano stati rapiti e sottoposti agli effetti di droghe per più di una settimana. Dove stavano andando? Cosa volevano da loro? Questi interrogativi rimanevano irrisolti nella mente del giovane Sojo…

sabato 5 aprile 2008

Capitolo II

Tre alberi immensi erano il fulcro della cittadina di Sirnimion, liane e ponti di legno congiungevano i rami, e l’abilità degli elfi a costruire in sintonia con la natura era tale che nessun ramo era spezzato, ma indirizzato nella crescita secondo il loro volere.
Numerosi archi di legno intrecciato e decorato con mithril, fiori e frutta abbellivano la città. La milizia cittadina era sempre all’erta, e la vita trascorreva tranquillamente.
Sojo era uno straniero a Sirnimion, non passava di certo inosservato a causa dei suoi occhi a mandorla e delle strane vesti che portava. Era un chierico di Boccob, il dio della Sapienza e della Magia, era partito da Mansh-Liung, la sua città natale, per accrescere il suo sapere. Durante il suo viaggio si era aggregato già a tre carovane come guaritore, ed era solito fermarsi solo nelle città che possedevano uno o più templi dedicati al suo dio.
Sirnimion possedeva un grande numero di maghi e devoti a Boccob, per questo egli l’aveva scelta come meta per la sua sosta. La quinta decade della seconda primavera si avvicinava e con essa la festa della magia per la quale i chierici usavano donare ai bambini, finti oggetti magici da rompere.
Tale rito rappresentava la capacità degli elfi di vivere anche solo grazie alle proprie forze, e quindi ricordava al popolo dei boschi che la magia, seppur meravigliosa, era superflua.
Come ogni sera nel tempio si celebravano i gheroi, le preghiere serali. Sojo sedeva tra i fedeli, non celebrava se non era nel suo tempio di Mansh. Centinaia di pendoli di cristallo scendevano dal soffitto riflettendo la luce delle finestre che venivano oscurate quando non si pregava. Il canto dei fedeli intonava pura gioia, mentre i maghi sacerdoti effettuavano i loro giochi di luce.
Finito il rituale i fedeli uscivano rumorosamente, i chierici erano nella sacrestia dove ci si spogliava delle vesti rituali per quelle abituali, le luci erano state occluse. Nessuno era rimasto nella sala di preghiera eccetto Sojo, che notò una figura avvicinarsi furtivamente all’otre dove erano state messe le offerte.
-Cosa fai? Quel denaro non è tuo!- gli gridò il chierico dell’est. Un giovane elfo si girò, aveva la carnagione abbronzata come gli elfi del deserto, tuttavia i suoi capelli erano biondi e i suoi occhi azzurri, caratteri ereditati probabilmente dall’incrocio di due razze elfiche.
-Ma… veramente… Io… stavo facendo la mia offerta.- si difese.
-Certo, e allora perché lo fai nascondendoti nell’ombra?- insistette Sojo.
-Non è vero…- replicò, ma la frase venne interrotta da una voce profonda che proveniva dall’entrata: -Questi due sembrano adatti…- I due elfi si girarono e videro una persona alta quasi due metri, avvolta in una cappa nera, agitare la mano coperta da un guanto scuro. Pronunciava parole in una lingua sconosciuta, parole lente che divenivano veloci, si insinuavano nella loro testa, scivolavano tra i pensieri rendendo il corpo pesante, sempre più pesante, fin quando le menti non cedettero e si abbandonarono a quella cantilena e, privi di sensi, caddero sul pavimento.

Capitolo I

Il Sole stava calando sulle Montagne di Brifkanar, i lavoratori delle miniere finivano il turno e la taverna si colmava di gente. La Birra scorreva a fiotti nel locale del vecchio Gronthor, e canti nanici di imprese eroiche si diffondevano nella grande sala.
Ulfgar era contento di affogare la sua stanchezza nell’alcol. Ruttò rumorosamente e chiese un altro boccale da due pinte. Quel liquido scorreva caldo e denso sulla gola. Vera birra! Altro che le porcherie prodotte dagli uomini. Per i nani il luppolo doveva fermentare a lungo, e soprattutto la birra andava bevuta a temperatura ambiente o perdeva di qualità.
Dopo il quarto boccale sentiva la testa più leggera e quella strana morsa al cervelletto tipica dello stato che precede l’ebbrezza. Allora la sua indole di nano usciva allo scoperto e se non scoppiavano risse tra i minatori a riposo si cantava, si ballava e si beveva sempre di più. Quella sera tutta via una persona vestita di nero era entrata nella locanda e, dopo il bicchiere della staffa di Ulfgar, aveva continuato ad offrirgli da bere fino a quando il nano era divenuto insopportabile per il resto della gente nel locale: puzzava di birra, era scontroso e minacciava chiunque lo urtasse e soprattutto rigettava sui tavoli. Allorché l’oste, stanco della situazione, chiamò i suoi figli e lo fece sbattere fuori dall’entrata posteriore della taverna, che dava su un vialetto.
I due fratelli lo presero sottobraccio e lo lanciarono in quel porcile di strada dove il suo viso affondò nel fango. Ulfgar non aveva né la forza né l’equilibrio sufficienti per riuscire ad alzarsi così i due buttafuori risero di lui, e rientrarono nella locanda.
Quando la porta si chiuse un ombra si levò dal lato della strada e si pose davanti al nano ubriaco, sovrastandolo in altezza e tenendo sempre nascosto il suo viso nel cappuccio. -Seguimi!- ordinò il losco individuo con una voce roca ed un accento del sud.
-Oh, molto volentieri amico! Ma non riesco ad alzarmi… non potreste darmi una mano?-
Un tonfo sordo, un colpo dietro la nuca, e Ulfgar si sentì invadere la testa da un dolore fortissimo. Perse i sensi e si accasciò al suolo.